Il cognome è uno di quelli che hanno fatto la storia dell’industria alimentare italiana, e di quella dolciaria in particolare. Tancredi e Alberto Alemagna sono i pronipoti di quel Gino Alemagna che negli anni ‘20, partendo da un forno di via Paolo Sarpi, a Milano, “inventò” il panettone; e nipoti di quell'Alberto Alemagna che fece diventare quell’invenzione un’industria e un marchio riconosciuti ovunque. L’azienda di famiglia fu poi ceduta alla Nestlé negli anni ‘90, e nel 2009 i panettoni Alemagna passarono a Bauli. L’ultima generazione ha ripreso in mano e riscoperto la passione e la tradizione della famiglia, e fondato T’a Sentimento Italiano. “Chiamarsi Alemagna non è facile” racconta Alberto Alemagna, il più giovane dei due “La tradizione di famiglia è qualcosa che ti porti dentro, non puoi metterla da parte e fare il manager. Dopo la laurea in Bocconi io e mio fratello abbiamo deciso di sfruttare la comune passione per il cioccolato e fondato T’a Sentimento Italiano. Abbiamo subito puntato all’eccellenza, cercato e selezionato il miglior cacao al mondo, inventato la nostra collezione di tavolette, cioccolatini e praline”. I due ragazzi non si risparmiano: fiere, presentazioni, eventi, sempre attenti ai nuovi media. Rilasciano una bella intervista a Radio 24 e partecipano alla trasmissione TV di Rai 2 “Detto Fatto”. “Tancredi si occupa della produzione e della fabbrica alle porte di Milano, io del marketing e delle vendite. Nel 2012 abbiamo superato il milione di euro di fatturato, creato nuovi prodotti, avviato l’espansione all’estero. Vogliamo crescere, ma con criterio: quando eravamo bambini, avevamo promesso al nonno: ‘Non ti preoccupare, nonno, quando saremo grandi ricompreremo noi l’Alemagna e ci lavoreremo tutti insieme”. Bella storia, pensando ai tanti marchi del turismo che - magari non ricchi di storia come Alemagna - meriterebbero che la seconda o la terza generazione li riportasse alla luce, come Alberto e Tancredi hanno fatto.
Da Kuoni a Fursan Travel, dalla Svizzera all’Arabia Saudita: Daniel Ponzo racconta
È trascorso un anno e mezzoda quando Daniel Ponzo, dopo una lunga carriera in Kuoni, è entrato nel CdA di Fursan Travel col ruolo di CEO di Fursan Leisure, nata con l’obiettivo di sviluppare il traffico leisure dai mercati del Golfo Persico verso le maggiori destinazioni turistiche mondiali. Con sede principale a Riyadh, in Arabia Saudita, ma sempre tra un aereo e l’altro, Ponzo fa un bilancio dei suoi primi 18 mesi. “È un’esperienza unica, mi reputo fortunato nel viverla. Qui la settimana lavorativa inizia la domenica e finisce il giovedì, i ritmi di lavoro sono più lenti... Ma l’Arabia Saudita (come gli Emirati, Dubai o Abu Dhabi) cresce a ritmi forsennati, i consumi sono alle stelle, il contrasto tra passato e presente è straniante: si prega 5 volte al giorno, ma tecnologia, moda, design, life-style fanno ormai parte della vita di tutti. Fursan Leisure, leader di mercato, conta oltre 1.000 collaboratori, provenienti da quindici Paesi diversi, tra asiatici, medio orientali e africani: solo un quinto sono sauditi, la lingua ufficiale è l'inglese. In Arabia Saudita la maggior parte delle vendite di turismo è rappresentata da biglietteria e pernottamenti alberghieri, i margini sono ridotti e la concorrenza agguerrita. Non esistono i tour operator tradizionali, come li conosciamo in Europa: pioniere sarà proprio Fursan Leisure, con un modello integrato tra t.o. e distribuzione, che prevede pacchetti di viaggio su misura, trasformando i nostri addetti da venditori di biglietteria e hotel a consulenti di viaggio. Della mia vita precedente non rimpiango nulla, leggo costantemente on line le notizie del settore e seguo con attenzione l’evoluzione del mercato europeo. Ma la sensazione, da qui, è quella di essere su un auto che va a 200 all’ora, e veder sfilare le altre dalla corsia di sorpasso.
Crisis management: prevenire costa meno che guarire
Le immagini del naufragio della Costa Concordia sono ormai entrate nella memoria collettiva e tutti i media (compreso ) hanno cercato di leggerne le conseguenze. “Si è trattato di un evento a bassissima probabilità, ma ad altissimo impatto, che ha evidenziato le caratteristiche tipiche di una crisi in piena regola: l’effetto sorpresa, la mancanza d’informazioni certe nelle prime ore, l’incalzare degli eventi e la perdita di controllo della compagnia, la pressione dei mass-media e l’utilizzo dei new media (da parte dei naufraghi stessi), per documentare l’evento, lo scatenarsi del panico e infine il costo in termini di vite umane. Se Costa Crociere avesse avuto un piano di Crisis Management adeguato, le cose sarebbero potute andare in modo diverso” afferma Luca Poma, uno dei “guru” del settore in Italia e autore di “Crisis Management” (Gruppo 24 Ore Editore, 2012). “Tutte le crisi portano a una potenziale perdita di reputazione e quindi a una contrazione della quota di mercato, piccola o grande che sia, anche a medio-lungo termine. Guarire da una crisi conclamata costa molto più che prevenirla, ma proprio il caso Costa Concordia dimostra come anche una grande impresa possa arrivare impreparata ad affrontare un evento del genere”. Il Crisis Management è una disciplina complessa, dove la comunicazione (grazie ai nuovi media e a smartphone/tablet) gioca un ruolo sempre più strategico. A titolo di esempio, Poma propone le seguenti linee-guida da seguire in casi nei quali la responsabilità aziendale è manifesta e i danni prodotti sono gravi, come è successo a Costa: informare subito il grande pubblico che l’azienda è a conoscenza della crisi e se ne sta occupando; risolvere/tamponare la crisi nel più breve tempo possibile; identificare le responsabilità interne e comunicare all’esterno le iniziative via via intraprese; far rilasciare quante più interviste possibili ai vertici dell’azienda; far dichiarare all’azienda che è cosciente del danno arrecato, se ne duole ed è disposta a rimediare; chiedere scusa, garantendo che un fatto del genere non si ripeterà più; nel periodo successivo, trasferire ai media e al grande pubblico molte buone notizie per recuperare reputazione. www.creatoridifuturo.it
Dalla Toyota a Naar Tour Operator, parla Frederic Naar
Frederic Naar è un imprenditore sveglio, con la passione per la tecnologia e per i numeri. Le ossa se le è fatte da giovane, accompagnando crociere sulle navi sovietiche noleggiate dal nonno alla i Grandi Viaggi, ma il modello di Naar è lontano anni luce da quello del t.o. classico. “Nel 2005 ero in vacanza in Sardegna, con l’amico Fabio Salomone, consulente di management, e parlavamo della Toyota, che aveva ottenuto risultati strabilianti col suo rivoluzionario TPS Toyota Production System, ovvero con l’applicazione del principio giapponese del Kaizen (Miglioramento Continuo) a tutti i processi aziendali. Chiesi a Fabio, che l’aveva sperimentato in varie aziende, se fosse applicabile nel tour operating. La risposta fu ‘Certo, ma sarebbe la prima volta’. Mi piacciono le prime volte, quindi tornato a Milano decisi di provarci. Beh, otto anni dopo ci siamo riusciti. Abbiamo rivoltato l’azienda da capo a piedi (nel frattempo sono diventate due, grazie all’integrazione con Aviomar – ndr) e oggi tutti i processi interni sono ottimizzati, monitorati e costantemente migliorati. Uno dei nostri problemi è lo smaltimento di centinaia di richieste preventivo al giorno (circa 200, da gennaio ad aprile) e la gestione di conferme complesse. Lo abbiamo affrontato con la kambanizzazione: “Kanban” è un termine giapponese che significa “cartellino” e la Toyota ne ha fatto la chiave di volta del suo TPS. In Naar ogni cartellino kanban identifica una pratica (dalla richiesta del cliente alla risposta dei fornitori alla composizione del preventivo) che - insieme ad altre pratiche, dentro un contenitore - scorre avanti e indietro tra i vari reparti coinvolti. Quando un contenitore si svuota, si apre un nuovo kamban e si rialimenta il processo. In tal modo abbiamo una esatta e costante percezione dei carichi di lavoro e siamo in grado di riequilibrare lo staff dedicato in tempo reale. Le prove che funziona? Incremento della produttività per addetto del 100% (ma non basta). Elevato tasso di conferma dei preventivi lavorati (esclusi quelli creati su web dagli utenti, che non considero “lavorati”): circa il 27%, che diventa il 15% se escludiamo quelli generati dagli utenti, ma gestiti solo dal booking. Zero errori: proprio zero, ovvero errori sulla composizione di un programma di viaggio (aeroporto sbagliato, hotel non prenotato, corrispondente non avvisato...) non ne facciamo proprio più. Impossibile,davvero”. Come si possano non fare più errori e chiudere un terzo dei preventivi è spiegato qui da Frederic Naar.
Anche la crisi contribuisce al successo deI modello low cost, che pochi anni fa era conosciuto solo per i voli aerei scontati. Invece include anche i mobili Ikea, le auto Dacia, le assicurazioni on line come Genialloyd e Genertel, le banche virtuali come Webank e Ing Direct, le cure mediche del Centro Sant' Agostino o di Amico Dentista. E, nel nostro settore, Bravofly e CTS, Ryanair e Terravision. Tutti soci di AssoLowcost, l’associazione di categoria fondata nel 2008 da Ikea, Genialloyd, ING Direct, Genertel, Dacia Logan (gruppo Renault) e Bravofly, allo scopo di realizzare “un modo nuovo e più efficiente di interpretare la produzione e la commercializzazione di beni e servizi con prezzi estremamente competitivi”. Il successo è testimoniato dai numeri. Il Rapporto 2011 di Assolowcost considera tutte le aziende italiane, non solo socie, che si definiscono low cost: auto, conti correnti e assicurazioni online, alimentare (discount e private label), trasporto aereo, farmaci equivalenti, grande distribuzione non alimentare, centri medici e dentistici. Il comparto registra un incremento del 13,53% sul 2010, per un valore complessivo di quasi 77 miliardi di euro e un peso del 5% sul PIL. “Il settore comprende tutte le aziende che, grazie a efficienze nella filiera approvvigionamenti-produzione-logistica e distribuzione, ottengono significativi risparmi di costi, che in buona parte si traducono in taglio dei prezzi al consumatore, a pari qualità. Anzi, certe volte con un livello superiore” sostiene Andrea Cinosi, presidente Assolowcost “Il low cost di qualità si distingue dal banale basso prezzo da mercato rionale non solo perché la qualità non viene compromessa, ma perché le marche vengono percepite dal cliente come portatrici di un patrimonio di valori importante, che comprende anche il divertimento, l’essere alla moda e una forma di etica, ovvero non sprecare il denaro, soprattutto in momenti come questo. Il cliente low cost non è più povero degli altri, anzi, spesso il contrario. Chi compra mobili Ikea non necessariamente rinuncia a un arredamento di marca, compra oggetti divertenti e funzionali, con un pizzico di ironia e creatività, e in casa li colloca accanto a una lampada di design. La Dacia è una vettura low cost, ma in molti casi è acquistata come seconda o terza vettura di famiglia, da destinare alla casa in montagna o al figlio neopatentato. E chi indossa un cappotto H&M, che costa poco, non sta comunicando al mondo che non ha soldi, ma che è una consumatrice giovane, ironica, alla moda e magari un po’ sexy”. Il turismo la fa ovviamente da padrone, con il 38,5% degli intervistati nel Rapporto 2011 che dichiara di aver acquistato viaggi e vacanze low cost, nel 2010. “L’esempio di Formule 1, la catena alberghiera low cost del Gruppo Accor spiega come low cost di qualità voglia dire bassi prezzi, d’accordo, ma con forte orientamento al cliente. Si può dormire a 39 euro in un letto confortevole, in una camera pulita, silenziosa e tranquilla, con la TV al plasma. Il ristorante non c’è? La reception è presidiata solo poche ore? L’hotel si trova su un raccordo autostradale? Chi se ne importa! Formule 1 dà al cliente quello che vuole, non quello che non gli serve. E quindi non glielo fa pagare".